L’agente per la riscossione dei tributi agisce in giudizio in proprio (anche se a seguito di mandato conferito dall’ente impositore) e pertanto sceglie autonomamente e non su direttive del mandante, se rinunziare o meno all’azione processuale e pertanto, in caso di colpa grave, va considerato autonomamente responsabile.
La Suprema Corte (con sentenza n. 25852 del 22 dicembre 2015) ha ritenuto incensurabile il provvedimento impugnato con il quale il Tribunale di merito aveva respinto l’opposizione, ai sensi dell’art. 98 della Legge Fallimentare, proposta dall’agente per la riscossione al fine di ottenere l’ammissione allo stato passivo del fallimento di una società a responsabilità limitata di alcuni crediti erariali insinuati con domanda tardiva.
Il Tribunale, constatato che l’agente per la riscossione aveva già ottenuto l’ammissione dei crediti dedotti in giudizio, lo ritenne responsabile di colpa grave per aver omesso di verificare la regolarità del provvedimento di esclusione non solo prima dell’opposizione del ricorso man anche dopo, nel corso del contraddittorio, condannandola per tale comportamento al pagamento delle spese di lite e ad una somma determinata in via equitativa pari ad € 4.000,00.
La Cassazione ribadisce l’estraneità del contribuente dal rapporto tra amministrazione finanziaria e agente per la riscossione con la conseguenza che quest’ultimo non può ritenersi esonerato dalla responsabilità di cui all’art. 96 c.p.c.