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Condizioni climatiche e danno da vacanza rovinata

La corte di Cassazione, nella sentenza di cui riportiamo integralmente il testo, affronta il tema della configurabilità del danno da vacanza rovinata quando essa dipenda dalle avverse condizioni climatiche.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

SENTENZA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I sigg. P. e B., in proprio e quali esercenti sulla figlia minore A. P., convennero in giudizio la soc. Alpitur per il risarcimento dei danni biologici e morali subiti in occasione di un’escursione marina effettuata durante una vacanza nei Caraibi.

In particolare, essi sostennero: di aver subito un trauma psichico durante un soggiorno nell’isola di S. Domingo al rientro dall’escursione, organizzata dall’Alpitur, alla vicina isola di Soana, allorquando si vennero a trovare nell’uragano Bertha; che l’Alpitur organizzò l’escursione nonostante l’annuncio, da parte delle autorità e della stampa locale, del possibile arrivo dell’uragano; che, di fatto, durante il viaggio di ritorno il tratto di mare tra l’isola di Soana e la costa fu interessato dall’uragano, per cui l’imbarcazione su cui essi prendevano posto venne a trovarsi in una tempesta con onde grandi e mare agitato, che determinò un’obiettiva situazione di pericolo, dalla quale essi furono tratti in salvo con difficoltà, dopo molto tempo in balia delle onde.

La domanda fu respinta dal Giudice di pace di Verona, il quale ritenne non provata ne la colpa della società, ne l’effettiva situazione di pericolo.

L’appello proposto dal P. e dalla B. fu rigettato dal Tribunale di Verona con la sentenza che gli stessi ora impugnano per cassazione, svolgendo due motivi.

Risponde con controricorso l’Alpitur Italia s.p.a.

I ricorrenti depositano memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti, nel lamentare la violazione e falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c., 2697 c.c. [1], nonché i vizi della motivazione, sostengono: in primo luogo, che il giudice non avrebbe tenuto conto della lettera di protesta dei turisti dell’Alpitur, nella quale si parlava della sconsiderata ed incauta escursione; in secondo luogo, di non aver considerato che la controversia non consisteva nello stabilire se essi erano rimasti coinvolti dal passaggio dell’occhio del ciclone (non segnalato su S. Domingo, bensì su Puertorico), ma se, in considerazione della semplice possibilità che la zona oggetto dell’escursione venisse comunque interessata dalle turbolenze causate dal ciclone stesso, l’organizzazione dell’escursione corrispondesse a requisiti di normale prudenza. Tutto ciò, sulla base della nozione di comune esperienza secondo cui gli uragani tropicali provocano turbolenze notevoli in una zona considerevolmente più ampia rispetto al c.d. Occhio. Con il secondo motivo i ricorrenti, nel denunziare la violazione dell’art. 112 c.p.c. o l’omessa motivazione, lamentano il fatto che il giudice non abbia ammesso la prova principe, ossia la richiesta di informazioni sulle condizioni meteorologiche nella zona interessata, all’epoca dei fatti. I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati e vanno respinti. I ricorrenti, pur censurando la sentenza impugnata per violazione di legge e per vizi di motivazione, tendono, in realtà, all’approvazione di una loro personale tesi che non tiene affatto conto, ne contraddice l’iter argomentativo seguito dal giudice. Ed, infatti, questi ha rilevato che gli attori non hanno fornito la prova in relazione a nessuno degli elementi caratterizzanti l’illecito aquiliano (condotta colposa, evento dannoso e nesso causale tra condotta ed evento); essi non hanno soddisfatto l’onere di provare (come, peraltro, da loro stessi dedotto in citazione) che il passaggio dell’uragano Bertha era stato su quella zona previsto e segnalato dal locale Ufficio Meteorologico e che, ciononostante, i responsabili dell’Alpitur, disattendendo l’avviso di pericolo e contravvenendo alle disposizioni impartite dall’autorità marittima, avevano deciso di effettuare ugualmente l’escursione. Questo il nodo fondamentale della vicenda, rimasto sfornito di prova.
Ne è possibile, in tali circostanze , invocare l’applicazione del notorio, quando è indiscusso il principio secondo cui il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fato notorio), comportando una deroga al principio dispositivo ed al contraddittorio (in quanto introduce nel processo civile prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati ne controllati), va inteso in senso rigoroso, e cioè come fatto acquisito alla conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile. Sicchè, non si possono reputare rientranti nella nozione di fatti di comune esperienza, intesa quale esperienza di un individuo medio in un dato tempo e in un dato luogo, quegli elementi valutativi che implicano cognizioni particolari, o anche solo la pratica di determinate situazioni (tra le varie, cfr. Cass. 8 agosto 2002, n. 11946). E gli effetti a larghissimo raggio di un ciclone tropicale sicuramente non rientrano nella comune esperienza dell’uomo medio.
Quanto, poi, alla prova principale della quale s’è detto in precedenza, la sentenza impugnata spiega (senza che i ricorrenti formulino alcun rilievo sul punto) che il giudice di pace, all’udienza del 5 maggio 1998, aveva dichiarato gli attori decaduti dalla prova testimoniale (per non aver provveduto all’intimazione dei testi indicati) e, con l’ordinanza fuori udienza del 18 maggio 1998, aveva respinto ogni ulteriore richiesta istruttoria (tra le quali, appunto, anche l’acquisizione d’ufficio delle informazioni meteorologiche nella zona interessata, all’epoca dei fatti). Tali ordinanze non furono impugnate con la sentenza di primo grado, ne nell’atto d’appello venne dedotto al riguardo alcun motivo di gravame. Di qui l’impossibilità di ammettere in appello la prova della quale di discute.
Il ricorso va, dunque, respinto ed i ricorrenti, in ragione della soccombenza, vanno condannati a rivalere la controparte delle spese sopportate nel giudizio di cassazione, come liquidate nel dispositivo.
PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi E 1600, di cui E 1500 per onorari difensivi.

Roma, 9 luglio 2003.
Depositata in Cancelleria il 12 novembre 2003.

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