Mentre i mass media hanno concentrato tutta la loro (poca) attenzione sulle coppie omosessuali e sulla possibilità loro concessa di contrarre unioni civili, poco ci si è soffermati sugli aspetti giuridicamente più rivoluzionari della recente Legge Cirinnà, in merito ai rapporti di convivenza.
Se fino a prima del 5 giugno 2016 (data di entrata in vigore della legge), la convivenza era una zona franca, priva di diritti e doveri, adesso le cose sono ben diverse.
In primo luogo perché alla convivenza sono attribuiti specifici effetti giuridici e, in secondo luogo, perché ai conviventi è riconosciuta la facoltà di poter disciplinare il proprio rapporto mediante un vero e proprio contratto. L’idea può apparire poco romantica, ma rappresenta la risposta che da tempo attendevano tutte quelle coppie che, non potendo o non volendo contrarre matrimonio, desideravano che il loro rapporto acquisisse un riconoscimento di ufficialità.
È bene chiarire e ribadire che, anche senza contratto, la convivenza oggi produce di per sé effetti giuridici tra i conviventi.
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Il riconoscimento giuridico alle coppie conviventi
Si tratta di effetti che vanno esattamente a colmare (o almeno iniziano a farlo) quelle che ansie che affliggono i rapporti di convivenza, per la paura del convivente economicamente più debole di vedersi da un giorno all’altro privo di alcuna tutela e assistenza, per la cessazione del rapporto. Soffermandoci sugli aspetti patrimoniali, le preoccupazioni dei conviventi sono, infatti, spesso focalizzate, ad esempio, sulla casa coniugale e sugli alimenti.
Riguardo la casa, la Legge Cirinnà prevede che, in caso di morte di un convivente, il superstite potrà continuare ad abitarla (anche se non di sua proprietà) per almeno due anni, che diventano cinque nel caso in cui vi abitino anche minori. Alcun diritto sulla casa è, viceversa, riconosciuto per il caso in cui il rapporto cessi per la volontaria scelta di uno dei due.
Riguardo gli alimenti, la Legge Cirinnà prevede che, come per il matrimonio, dalla convivenza scaturisca l’obbligo di versare gli alimenti a carico del coniuge economicamente più forte, in favore di quello più debole. Tale obbligo avrà, tuttavia, durata non vitalizia, ma proporzionale alla durata della convivenza.
È evidente, tuttavia, che allo stato attuale tale disciplina è permeata da una vaghezza che potrà essere colmata solo nel corso del tempo dalle modalità attraverso cui la giurisprudenza la applicherà ai singoli casi concreti.
Questi sono solo alcuni degli aspetti più interessanti disciplinati dalla nuova legge. Per un’elencazione più esaustiva e per distinguere a quali categorie di conviventi si applichi la nuova normativa, vi invitiamo a consultare quest’articolo, pubblicato su separati.org.
I contratti di convivenza
Come si diceva, ancora più rivoluzionaria, è la previsione per i conviventi di poter scegliere autonomamente come disciplinare il proprio rapporto, ricorrendo ad un vero e proprio contratto. Tale previsione infrange una sorta di tabù, che contraddistingue il nostro ordinamento rispetto ad alcuni altri, forse più evoluti e moderni. Il tabù a cui ci riferiamo è quello secondo cui il matrimonio è da intendersi giuridicamente come “atto puro”. Ciò sta a significare che esso non consente ai contraenti (ovvero ai coniugi) di potervi apporre alcun termine, né tanto meno alcuna condizione. I rapporti che si instaurano tra i coniugi, una volta contratto il matrimonio, non sono quindi tra loro in alcun modo negoziabili. Mentre in altri ordinamenti sono ad esempio riconosciuti i contratti prematrimoniali, in Italia essi sono privi di efficacia. I così detti “love contracts” sono, infatti, tipicamente di matrice anglosassone e la loro diffusione nella nostra cultura è da imputare più alle cronache rosa che non a quelle giuridiche. Così, ad esempio, si è tanto parlato, in passato, del contratto con cui il celebre fondatore di facebe, Mark Zuckerberg, si è impegnato a trascorrere almeno una notte a settimana con la moglie Priscilla.
Se, quindi, il matrimonio è e resta un atto puro, il principio non vale più per le convivenze, poiché in questo caso, la Legge Cirinnà ha offerto alle coppie la possibilità di disciplinare in modo flessibile il proprio rapporto.
La scarsa conoscenza dell’istituto ne impedirà probabilmente una rapida diffusione, malgrado lo strumento offra enormi potenzialità e rappresenti effettivamente la risposta alla domanda di tutela invocata da anni da tante coppie di conviventi insoddisfatte dalla precarietà del loro rapporto.
Stipulare un contratto di convivenza può significare, in altri termini, contrarre un vero e proprio matrimonio, ma con la facoltà di poter così liberamente scegliere di derogare ad alcuni dei suoi rigidi vincoli.
Cosa potrà esattamente contenere un contratto di convivenza? Quali clausole potranno essere inserite? Quali viceversa resteranno in ogni caso escluse? A darci una risposta sono è il sito degli Avvocati Matrimonialisti Associati, che ha qui già predisposto un modello di contratto di convivenza, con tanto di guida alla compilazione.