Riportiamo il testo della sentenza del Giudice di Pace di Salerno relativa al delicato tema del danno da vacanza rovinata con particolare riferimento alle condizioni dei disabili.
In nome del Popolo Italiano
UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI SALERNO
Il Giudice di Pace, avv. Luigi Vingiani, ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 2691 del Ruolo Generale Affari Civili dell’anno 2007
TRA —–, rappresentato e difeso dall’avvocato —- con studio in Salerno alla via S. — n. 119 giusto mandato a margine dell’atto di citazione
ATTORE
E
—., in persona del legale rapp.te pro tempore, con sede legale in —– rappresentata e difesa dall’avv. —– del foro di Napoli e domiciliata in Salerno alla via Generale Diaz, 69 presso lo studio dell’avv.to —– giusta procura generali alle liti
CONVENUTA
NONCHÈ
AGENZIA VIAGGI —-., in persona del legale rapp.te p.t., con sede legale in Salerno alla via —, rappresentata e difesa dall’avv. —- ed elettivamente domiciliata in Salerno alla via F. —- n. 7 giusto mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta
TERZA CHIAMATA IN CAUSA
CONCLUSIONI: Come da verbali di causa e comparse in atti
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato, il sig. — conveniva in giudizio, innanzi al Giudice di Pace di Salerno, la —- S.L., in persona legale rappresentante p.t., per dichiarare l’inadempimento agli obblighi contrattuali della convenuta assunti con la vendita del pacchetto turistico cd. ‘tutto compreso’ acquistato, per il costo complessivo di euro 456,00, in data 3.05.2006 al 10.05.06 ed avente ad oggetto un soggiorno in Parigi presso l’Hotel — e comprensivo anche di volo di andata e ritorno. L’attore, affetto di grave handicap, lamentava che una volta giunto nell’Hotel prenotato non aveva ritrovato la camera di albergo idonea ad ospitare una persona disabile. Seppure l’hotel — aveva proposto all’attore, dopo varie lamentele, una soluzione alternativa alla camera prenotata, anche la camera del secondo albergo era comunque inadeguata ad accogliere un portatore di handicap. L’attrice, quindi, concludeva per la condanna della convenuta alla restituzione di quanto versato a titolo di acquisto del pacchetto turistico oltre il risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti entro i limiti della competenza per valore e con vittoria di spese, diritti ed onorari, con attribuzione. All’udienza di prima comparizione, regolarmente citata, si costituiva la — S.L.. Il procuratore della — S.L., nell’eccepire la circostanza che la convenuta non è un tour operator ma una società di intermediazione tra le agenzie e gli alberghi, concludeva per il rigetto della domanda attorea, atteso che non vi è responsabilità per inadempimento contrattuale. Nelle more del giudizio, l’attore chiedeva ed otteneva di chiamare in causa l’Agenzia Viaggi —, la quale si costituiva ed eccepiva la propria carenza di legittimazione passiva atteso che svolge un’attività di intermediazione e di vendita di servizi già predisposti da altri. Concludeva quindi per la dichiarazione di carenza di legittimazione passiva, e comunque per il rigetto della domanda attorea o, in subordine, in caso di accoglimento della domanda attorea, per la condanna della sola — s.l.. Veniva espletata prova testimoniale, diretta e contraria, e precisate le conclusioni delle parti, la causa veniva assegnata a sentenza in data 2.02.09, con termine per note.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Si precisa che questa controversia viene decisa secondo diritto a prescindere dal valore della stessa. Le legittimazioni delle parti sono provate per tabulas essendo prodotte in giudizio documenti attestanti l’esistenza del rapporto dedotto dall’attore e, comunque, la documentazione prodotta dall’istante non è stata mai espressamente negata dal convenuto e dall’agenzia di viaggi.
La domanda attorea risulta fondata e va accolta.
Questo Giudice osserva che, per la presente controversia, occorre fare riferimento alla normativa contenuta nel Codice del Consumo (decreto legislativo 206/2005) che agli artt. 82 e ss. disciplina i viaggi, le vacanze ed i circuiti tutto compreso. In particolare, il menzionato Codice del Consumo statuisce in ordine i cosiddetti pacchetti turistici, intendendo per tali quelli che hanno ad oggetto almeno due delle seguenti prestazioni: a) trasporto; b) alloggio; c) altri servizi turistici non accessori ai primi (ad es. vitto, visite guidate a musei, attività ricreative, corsi di lingua o di pratica sportiva). Ulteriori presupposti applicativi sono, poi, che il viaggio abbia durata superiore alle ventiquattro ore, ovvero si estenda per un periodo di tempo comprendente almeno una notte, e che il prezzo per le prestazioni contrattuali abbia carattere forfettario considerata la unitarietà del pacchetto, unitarietà che non è compromessa dalla eventuale separata fatturazione dei vari elementi che la compongono e che è anzi enfatizzata dall’uso del termine vendita riferito al pacchetto oggetto dello scambio. Quanto, invece, all’ambito soggettivo di applicazione del citato decreto, lo stesso chiarisce che il pacchetto deve essere venduto o proposto dall’organizzatore o dal venditore, definendosi il primo come colui che…“realizza la combinazione degli elementi di cui all’art. precedente e si obbliga in nome proprio e verso corrispettivo forfettario a procurare a terzi pacchetti turistici, che può poi vendere egli stesso – nel qual caso ricorre la figura dell’organizzazione venditore – ovvero può far vendere a terzi, assumendo quindi il solo ruolo di organizzatore”; individuandosi, invece, il secondo in colui che … “vende, o si obbliga a procurare pacchetti turistici realizzati ai sensi dell’art. 2 verso un corrispettivo forfettario.” Viene, inoltre, definito come consumatore chi “acquista il pacchetto, ma anche chi subentra nel contratto quale cessionario del pacchetto o la persona da nominare per conto della quale altri si è impegnato ad acquistare il pacchetto senza remunerazione.” In applicazione di tali principi, allora, ne consegue che alcun dubbio può sussistere che, nella specie, la proposta di compravendita di pacchetto/servizio turistico sottoscritta dall’attore debba considerarsi, in ragione del suo complessivo contenuto (prefissata combinazione di trasporto, alloggio ed altri servizi), come proposta di acquisto di pacchetto turistico, che, una volta accettata dalla Agenzia Viaggi (venditrice) e dalla — (organizzatore), è stata disciplinata dal Codice del Consumo. Ciò posto, deve ancora evidenziarsi, che quest’ultimo, tra l’altro, prevede: a) che il contratto di vendita di pacchetti turistici è redatto in forma scritta ed in termini chiari e precisi: il primo requisito non è previsto a pena di nullità, onde deve escludersi che integri elemento essenziale del contratto, mentre la chiarezza e la precisione sono funzionali alla esigenza di informare adeguatamente il consumatore e risolvere dubbi interpretativi, conformemente a quanto previsto in via generale dall’art. 1370 c.c. nei contratti di serie ed a quanto più specificamente previsto dall’art. 1469 quater c.c. nei contratti del consumatore; b) che il contratto di vendita di pacchetto turistico contiene gli elementi specificamente indicati dall’art. 7; c) che le trattative che precedono la conclusione del contratto devono consentire una adeguata informazione del consumatore per evitare errori negoziali o quell’effetto sorpresa che spesso deriva dalla stipulazione di contratti di serie unilateralmente predisposti. Tanto premesso, questo Giudice sottolinea che non vi è contestazione tra le parti circa l’avvenuto acquisto, da parte dell’attore, presso —–srl di un pacchetto turistico predisposto dalla — (cfr. contratto acquisto pacchetto) presso l’Hotel— in Parigi per il periodo 3.05.06-10.05.06 per la cifra complessiva di euro 456,00. Il Codice del Consumo, poi, stabilisce che in caso di mancato o inesatto adempimento delle obbligazioni assunte, anche attraverso altri prestatori di servizi (su cui hanno poi diritto di rivalsa), con la vendita del pacchetto turistico (compreso anche il volo di andata e ritorno), l’organizzatore ed il venditore “sono tenuti al risarcimento del danno, secondo le rispettive responsabilità, se non provano che il mancato o inesatto adempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a loro non imputabile” (formula che riproduce il disposto di cui all’art. 1218 c.c). L’organizzatore ed il venditore non rispondono, invece, “quando la mancata o inesatta esecuzione del contratto è imputabile al consumatore o è dipesa dal fatto di un terzo a carattere imprevedibile o inevitabile ovvero da un caso fortuito o di forza maggiore”, pur essendo comunque tenuti ad apprestare “con sollecitudine” ogni rimedio utile al soccorso del consumatore al fine di consentirgli la prosecuzione del viaggio. In sostanza è il contraente forte-imprenditore (organizzatore e agenzia di viaggi), di cui è allegato e dedotto, nell’atto introduttivo del giudizio, l’inadempimento (camera per disabile prenotata e non ritrovata in loco), che deve fornire adeguata prova contraria, come, in generale, peraltro affermato dalla Corte di Cassazione Sezioni Unite in una recente pronuncia (n. 13533/2001), risolvendo un contrasto giurisprudenziale (a favore C.C. 7027/2001, C.C. 11629/1999, C.C. 10446/1994): “in tema di prova dell’inadempimento di un’obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno ovvero per l’adempimento – salvo che si tratti di obbligazioni negative – deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dall’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed uguale criterio di riparto deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art.1460 c.c., risultando in tal caso invertiti i ruoli delle parti in lite”. In difetto quindi di valida prova contraria offerta dalla convenuta e dalla chiamata in causa, va affermata pertanto la loro responsabilità solidale. In ordine al danno patrimoniale risarcibile, questo Giudice ritiene equo liquidarlo in euro 456,00, oltre interessi dal fatto e fino all’effettivo soddisfo.
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In ordine al danno non patrimoniale risarcibile, viene innanzitutto in discussione il riconoscimento all’attore del diritto al risarcimento, oltre che del c.d. “danno da vacanza rovinata”, determinato dal disagio o stress sopportato a causa dell’inesatta esecuzione della prestazione promessa, ove sia stato leso irrimediabilmente o compromesso l’interesse al pieno godimento di un periodo di vacanza, organizzato come occasione di svago e/o di riposo, conforme alle aspettative anche le lesioni ai valori costituzionalmente garantiti. Si pone in particolare il problema della risarcibilità del danno morale, vale a dire del pregiudizio da sofferenza psichica (patema d’animo) non corporale e transeunte. In una recente sentenza del 12/3/2002, Causa C-168/2000, Leitner c/Tui, (G.I. 2002, 1801; Resp.Civ.Prev.2002, 363; Corr.Giur.2002,1000), la Corte di Giustizia CE ha affermato che l’art. 5 della Direttiva 90/314/CEE (che impone agli Stati membri di adottare le misure necessarie affinché l’organizzatore di viaggi risarcisca i “danni arrecati al consumatore dall’inadempimento o dalla cattiva esecuzione del contratto”) deve essere “interpretato nel senso che il consumatore ha diritto al risarcimento del danno morale derivante dall’inadempimento o dalla cattiva esecuzione delle prestazioni fornite in esecuzione di un contratto turistico rientrante nel campo di applicazione della direttiva”.
E’ stato così affermato, a livello di ordinamento comunitario, il principio della risarcibilità del danno morale da inadempimento contrattuale. Nel caso che ci occupa, l’attore ha chiesto la condanna della convenuta, unitamente alla chiamata in causa, anche al pagamento del risarcimento dei danni non patrimoniali, oltre che di quello da vacanza rovinata, causati all’attore per l’illegittimo comportamento tenuto e per la palese violazione delle norme di correttezza e buona fede a cui erano tenuti nella conclusione e nell’adempimento del contratto. Il risarcimento dei danni, secondo i principi generali, può essere riconosciuto in tutti quei casi in cui sussistano le seguenti condizioni: ingiustizia del danno secondo i parametri dell’art. 2043 c.c.; nesso di causalità tra comportamento lesivo e danno che deve tradursi in un giudizio di proporzionalità ed adeguatezza tra il fatto illecito e la conseguenze dannose; consecutività temporale tra comportamento lesivo e danno (cfr. Trib. Milano 21/10/1999). Tutte queste condizioni possono essere ravvisate nel caso di specie che, incidendo sull’esplicazione delle normali attività connesse, non solo con i rapporti lavorativi, ma anche sociali e familiari, può essere ricondotto sia al danno alla vita di relazione che al danno alla serenità familiare.
I giudici di merito e di legittimità avevano costruito una vasta casistica di applicazione c.d. esistenziale (come categoria del danno morale) che va dal danno conseguente ad un licenziamento ingiurioso, al mobbing, ed, anche, al rifiuto della P.A. di accogliere l’istanza di revoca d’ufficio di una contravvenzione palesemente illegittima (GdP di Verona 16/3/200), fattispecie simile a quella su cui si controverte, posto che da un illegittimo comportamento della P.A. è derivato una lesione della serenità personale che ciascun soggetto ha diritto di mantenere, non solo nell’ambito lavorativo ma anche familiare.
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Non è inopportuna qualche breve considerazione sulla qualificazione (e sopravvivenza) del c.d. danno esistenziale. E’ noto che il sistema delineato dal Codice civile del 1942 si fondava sulla concezione dicotomica che distingueva, nell’universo aquiliano, il danno patrimoniale da quello non patrimoniale. Invero, mentre l’articolo 2043 configura la prima categoria (”Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”), il risarcimento del danno non patrimoniale è previsto dall’articolo 2059 Cc secondo cui ”Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge”. All’epoca dell’emanazione del codice civile (1942) il legislatore – con il prefato richiamo – intendeva riferirsi all’unica previsione espressa di risarcimento del danno non patrimoniale, quella racchiusa nell’articolo 185 del Codice penale del 1930. E’ noto, tuttavia, che nella successiva evoluzione verificatasi nella disciplina di tale settore, contrassegnata dal nuovo atteggiamento assunto, dal legislatore e dalla giurisprudenza, il sistema dicotomico del 1942 è entrato in crisi fino ad essere definitivamente superato per effetto della nuova sistemazione dogmatica del danno civile elaborata con il fondamentale contributo delle due sentenze gemelle della Suprema Corte di Cassazione del 31 maggio 2003 (nn. 8827 e 8828) e dell’interpretazione costituzionalmente orientata che – analogamente alla Corte di Cassazione – ne ha dato la Corte Costituzionale (sent. n. 233 dell’11 luglio 2003). La prima tappa (giurisprudenziale) di tale complesso itinerario è stata incentrata sulla figura del danno biologico. Nella sistematica codicistica originaria, l’individuo, in quanto titolare di un patrimonio valutabile sub specie economico – contabile, poteva invocare la tutela giuridica, solo ove il predetto patrimonio avesse subito un pregiudizio: l’ipotesi tipica era rappresentata dalla diminuzione della capacità di produrre reddito, a causa di una lesione fisica invalidante. Questo impianto di tutela, tuttavia, escludeva quella forma di danno che poteva riguardare tutti gli individui, compresi i soggetti privi di un reddito lavorativo. Il sistema così descritto, in altri termini, operava un meccanismo di esclusione di tutela giuridica che, non solo si poneva in palese contrasto con i dettami della Carta Costituzionale (artt. 2, 3, Cost.), ma finiva anche con il rendere del tutto inoperante l’art. 32 Cost. (tutela della salute). Intorno alla metà degli anni ’70 – anche sulla spinta delle critiche rivolte dalla dottrina alle previsioni codicistiche – parte della giurisprudenza cercò, con una serie di tentativi, di superare l’impasse cui conduceva la richiamata dicotomia. In tal senso la sentenza del Tribunale di Genova 25 maggio 1974, rappresentò – anche sotto il profilo storico – il primo passo verso una impostazione metodologica volta a “spostare l’asse dell’attenzione” dal criterio patrimoniale al criterio della “ingiustizia” del danno. Un passo ulteriore è rappresentato dalle sentenze n. 87 e 88 del 1979 con le quali la Corte Costituzionale individuò nell’art. 32 Cost. la norma che assicura la effettività della tutela della salute quale diritto fondamentale dell’individuo, come diritto primario ed assoluto e pienamente operante nei rapporti tra privati. La medesima Corte precisò che il diritto alla salute, in virtù anche del suo carattere privatistico, è direttamente tutelato dalla Costituzione (art. 32) e, nel caso di sua violazione, il soggetto può chiedere ed ottenere il giusto risarcimento, in forza del collegamento tra l’art. 32 Cost. e l’art. 2059 c.c.. La successiva produzione giurisprudenziale vede l’affermarsi della tesi secondo cui la menomazione dell’integrità psicofisica della persona, costituisce un danno ingiusto di natura patrimoniale, in quanto colpisce un valore essenziale che fa parte integrante di quel complesso di beni di esclusiva e diretta pertinenza del danneggiato (Cass. civ., 11/02/1985, n.1130; per una applicazione in punto di danno biologico cfr. la sentenza n. 3675/81 della Corte di Cassazione). Con la storica sentenza n. 134/1986, la Corte Costituzionale ribadisce la legittimità dell’art. 2059 c.c. che correttamente, nella discrezionalità del legislatore, ha delimitato il risarcimento del danno non patrimoniale alle sole ipotesi in cui il fatto costituisce reato. Al tempo stesso, però, la Corte Costituzionale nega che una simile scelta del legislatore possa pregiudicare la risarcibilità stessa del danno biologico, dal momento che tale risarcibilità va ricercata non nell’art.2059 c.c., ma bensì nell’ambito dell’art.2043 c.c.. Accanto alla poderosa opera di ricostruzione dogmatica da parte della giurisprudenza, si pone l’attività del legislatore che, nella normativa successiva al codice, ha notevolmente ampliato i casi di espresso riconoscimento del risarcimento del danno non patrimoniale anche al di fuori dell’ipotesi di reato (art. 185 c.p.), in relazione alla compromissione di valori personali (art. 2 L. n. 117/88: risarcimento anche dei danni non patrimoniali derivanti dalla privazione della libertà personale cagionati dall’esercizio di funzioni giudiziarie; art. 29, sostituito dall’art. 152, comma 12, d.lvo 30 giugno 2003 n. 196 comma 9, L. n. 675/96: impiego di modalità illecite nella raccolta di dati personali; art. 44, comma 7, D.L.vo n. 286/98: adozione di atti discriminatori per motivi razziali, etnici o religiosi; art. 2 L. n. 89/2001: mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo). Venendo al più recente passato, la definitiva sistemazione dogmatica del “danno civile” è stata effettuata – come sopra anticipato – dalla giurisprudenza costituzionale e da quella civile del 2003. In particolare la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto non più condivisibile la tradizionale restrittiva lettura dell’articolo 2059 c.c., in relazione all’articolo 185 Cp, come diretto ad assicurare tutela soltanto al danno morale soggettivo, alla sofferenza contingente, al turbamento dell’animo transeunte determinati da fatto illecito integrante reato. La Corte di Cassazione ha osservato che nel vigente assetto ordinamentale, nel quale assume posizione preminente la Costituzione – che, all’articolo 2, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, – il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona. La Corte ha precisato che si deve quindi ritenere ormai acquisito all’ordinamento positivo il riconoscimento della lata estensione della nozione di “danno non patrimoniale”, inteso come danno da lesione di valori inerenti alla persona, e non più solo come “danno morale soggettivo”. Al giudice della legittimità non è sembrato proficuo ritagliare all’interno di tale generale categoria specifiche figure di danno, etichettandole in vario modo poiché, ha osservato, ciò che rileva, ai fini dell’ammissione a risarcimento, in riferimento all’articolo 2059 c.c., è l’ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona, dal quale conseguano pregiudizi non suscettivi di valutazione economica. Inoltre, la riserva di legge, originariamente esplicata dal solo articolo 185 Cp (ma anche dall’articolo 89 Cpc), in punto di ammissibilità del risarcimento, è stata resa inoperante nel caso di lesione concernete i valori della persona costituzionalmente garantiti. Dal quadro “ridisegnato” nel recente passato emerge che al risarcimento del danno patrimoniale, sempre ancorato al paradigma dell’art. 2043 c.c., si accompagna il risarcimento del danno non patrimoniale, che trova tutela più ampia ed articolata nell’art. 2059 c.c., il quale non va più restrittivamente interpretato ed applicato in via esclusiva ai casi tradizionali del danno morale soggettivo (ex art. 185 c.p.), ma deve assicurare la riparazione delle ipotesi legali espresse di danno non patrimoniale risarcibile (art. 89 c.p.c., art. 2 l. n. 117/1988, art. 29 l. n. 675/1996, sostituito dall’art. 152 d.lvo 196/2003 art. 44 d.lgs. n. 286/1998, art. 2 l. n. 89/2001), e delle lesioni che, incidendo sui valori (della persona) costituzionalmente garantiti non possono non costituire figure di danno risarcibile, a prescindere da risvolti penalistici, non più condizionanti. Dalla nuova sistemazione deriva che il danno non patrimoniale è categoria ampia, nella quale trovano collocazione tutte le ipotesi di lesione di valori inerenti alla persona, ovvero sia il danno morale soggettivo (concretantesi nella perturbatio dell’animo della vittima), sia il danno biologico in senso stretto (o danno all’integrità fisica e psichica, coperto dalla garanzia dell’art. 32 Cost.), sia il c.d. danno esistenziale (o danno conseguente alla lesione di altri beni non patrimoniali di rango costituzionale). Merita – a questo punto – di essere precisato che la categoria del danno esistenziale è stata – a volte surrettiziamente – enucleata dalla giurisprudenza civile (specialmente negli anni 1986 – 1994) mediante un fenomeno di dilatazione della categoria del danno biologico. La successiva produzione giurisprudenziale, tuttavia, riconducendo il danno biologico nei confini della “patologia”, determinò la necessità di definire – expressis verbis – una nuova categoria di danno idonea a ricomprendere tutte le ipotesi di lesione arrecata ai diritti della personalità (cfr., in particolare, le decisioni di merito Trib. Torino 8 agosto 1995, Trib. Verona 26 febbraio 1996). Il suggello alla produzione giurisprudenziale (ed alla sottesa elaborazione della dottrina) in esame è stato posto dalla Corte di cassazione, sez. I, sentenza n. 7713 del 7 giugno 2000, secondo cui la lesione dei diritti fondamentali della persona, collocati al vertice della gerarchia dei valori costituzionalmente garantiti, va incontro alla sanzione risarcitoria per il fatto in sé della lesione (danno evento) indipendentemente dalle eventuali ricadute patrimoniali che la stessa possa comportare (danno conseguenza) – come posto in luce dalla Corte costituzionale con la nota sentenza n. 184 del 1986.
La Corte di Cassazione ha osservato che la vigente Costituzione, garantendo principalmente e primariamente valori personali impone una lettura costituzionalmente orientata del paradigma aquiliano (che non si sottrarrebbe altrimenti ad esiti di incostituzionalità), “in correlazione agli articoli della Carta che tutelano i predetti valori”, nel senso appunto che quella norma sia “idonea a compensare il sacrificio che gli stessi valori subiscono a causa dell’illecito”, attraverso “il risarcimento del danno (che) è sanzione esecutiva del precetto primario ed è la minima delle sanzioni che l’ordinamento appresta per la tutela di un interesse”. Il danno esistenziale consisteva, pertanto, nei riflessi esistenziali negativi (perdita di compiacimento o di benessere per il danneggiato) che ogni violazione di un diritto della personalità produce.
A differenza del danno biologico, tale voce di danno sussisteva indipendentemente da una patologia (lesione fisica o psichica) suscettibile di accertamento e valutazione medico-legale; diversamente dal danno patrimoniale, prescinde da una diminuzione della capacità reddituale; rispetto al danno morale, inteso come turbamento dello stato d’animo della vittima, non consiste in una sofferenza od in un dolore, ma in un peggioramento della qualità di vita derivante dalla lesione del valore costituzionale “uomo”. Allo stesso modo, Giudici di Pace di Roma e di Bologna hanno recentemente riconosciuto il diritto al risarcimento del danno a cittadini che, inseguiti dalla Pubblica Amministrazione per la riscossione di illegittime sanzioni, sono stati costretti a numerose trafile presso gli sportelli degli uffici pubblici per vedere riconosciute le loro ragioni. L’amministrazione infatti, di fronte alle legittime contestazioni dei richiedenti ed esaminando la documentazione presentata, avrebbero potuto annullare le contravvenzioni; non averlo fatto, ha comportato danni “conseguenti allo stato di frustrazione e di disagio che ne è derivato, oltre ai disagi per il grave dispendio di tempo ed energie necessarie per le proprie difese, nella consapevolezza delle proprie ragioni”. Sul punto era intervenuta la Corte cost., che nella decisione 11/07/2003, n.233 ha sancito: “Nell’astratta previsione della norma di cui all’art. 2059 c.c. deve ricomprendersi ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona: sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima; sia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell’interesse, costituzionalmente garantito, all’integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost.); sia infine il danno (spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona”.
Qualche anno fa il Supremo Collegio, con la sentenza 13546/2006, aveva spazzato via ogni dubbio in ordine all’eventuale rischio di sovrapposizione tra danno biologico e danno morale soggettivo, ribadendo innanzitutto come, il danno esistenziale, a differenza del danno morale soggettivo, debba obiettivarsi e che, diversamente dal danno biologico, debba prescindere dalla accertabilità in sede medico legale.
Inoltre aveva sancito che il danno esistenziale si deve sostanziare in una modificazione peggiorativa della personalità dell’individuo in presenza di lesione di interessi essenziali della persona, come quelli costituzionalmente garantiti (salute, reputazione, libertà di pensiero, famiglia, ecc..). Il danno non patrimoniale deve essere dunque riconosciuto e liquidato nella sua interezza, essendo pertanto necessaria, laddove il risarcimento non risulti in termini generali e complessivi domandato, l’analitica considerazione e liquidazione in relazione ai diversi aspetti in cui esso si scandisce. Quando il danneggiato chiede il risarcimento del danno non patrimoniale la domanda va cioè intesa come estesa a tutti gli aspetti di cui tale ampia categoria sì compone, nella quale vanno d’altro canto riassorbite le plurime voci di danno nel corso degli anni dalla giurisprudenza elaborate proprio per sfuggire agli angusti limiti della suindicata restrittiva interpretazione dell’art. 2059 cc.
La domanda di risarcimento del danno non patrimoniale in termini generali formulata non può essere infatti limitata alla considerazione meramente di alcuni dei medesimi, con esclusione di altri (cfr. Cass., 24/2/2006, n. 4184; Cass., 26/2/2003, n. 28 69, con riferimento in particolare al danno biologico), una tale limitazione essendo invero rimessa, in ossequio al principio della domanda, alla previa scelta del danneggiato, che si limiti a far valere solamente alcuna del le tre suindicate voci che tale categoria integrano (v. Cass., 28/7/2005, n. 1583; Cass., 7/12/2004, n. 22987. Con riferimento alla richiesta di risarcimento del danno morale, nel senso che essa non possa intendersi come limitata alla sola sofferenza psichica transeunte ma debba considerarsi quale «sinonimo” della locuzione «danno non patrimoniale», v. peraltro Cass., 15/7/2005, n. 15022). Sul punto è recentemente intervenuta la ormai famosa sentenza Cass. sez. un. 11 novembre 2008, n. 26975, che ha identificato il danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c. come quello determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, composto in categoria unitaria non suscettibile di suddivisione in sottocategorie. Danno tutelato in via risarcitoria, in assenza di reato ed al di fuori dei casi determinati dalla legge, solo quando si verifichi la lesione di specifici diritti inviolabili della persona, ossia la presenza di un’ingiustizia costituzionalmente qualificata. Tenendo, dunque, conto dell’interesse leso e non del mero pregiudizio sofferto o della lesione di qualsiasi bene giuridicamente rilevante”.
In un primo momento sembrava che tale decisione avesse finalmente chiarito la questione del danno esistenziale e del danno non patrimoniale. Si è poi visto che tale decisione non ha accontentato né i c.d. esistenzialisti né i c.d. negazionisti e vi sono state pronunce delle sezioni semplici e della giurisprudenza di merito che hanno per cosi dire “reinterpretato” la decisione delle sezioni unite e cercato di dare una diversa e più ampia qualificazione del danno non patrimoniale e dei criteri per la sua risarcibilità. Il dibattito è ancora aperto e non si concluderà a breve. Ritiene il Giudicante che allo stato si possa condividere quell’orientamento dottrinario secondo cui il danno ex art. 2059 cod. civ. – nella lettura data dalle SS.UU. dell’11 novembre 2008 (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972, 26973, 26974, 26975) – rappresenta una categoria unitaria di nocumento ove racchiusi tutti i pregiudizi cd. esistenziali, i quali si caratterizzano per l’assenza di risvolti reddituali, incidendo sulla persona in quanto tale. Il giudice, ai sensi dell’art. 2059 cod. civ., è chiamato ad accertare, ai fini del risarcimento, quali siano gli interessi che la vittima del fatto illecito assume violati per verificarne la rilevanza costituzionale ovvero la riconducibilità ad una espressa previsione di Legge che ne legittima espressamente il ristoro non patrimoniale (oltre che patrimoniale ex art. 2043 cod. civ.).
Il giudice deve, poi, anche valutare la gravità dell’offesa che si vuole sanzionare in via risarcitoria. La suddetta gravità dell’offesa costituisce requisito ulteriore per l’ammissione a risarcimento dei danni non patrimoniali alla persona conseguenti alla lesione di diritti costituzionali inviolabili. Il diritto deve essere inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio. Il filtro della gravità della lesione e della serietà del danno attua il bilanciamento tra il principio di solidarietà verso la vittima, e quello di tolleranza, con la conseguenza che il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo nel caso in cui sia superato il livello di tollerabilità ed il pregiudizio non sia futile.
In definitiva alla stregua delle suesposte considerazioni, allo stato attuale dell’evoluzione giurisprudenziale, deve ritenersi che Non “esiste” un (autonomo) danno esistenziale e che le varie definizioni (biologico, morale) hanno mera valenza descrittiva. Il danno è unitario: danno non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ.. Il danno esistenziale non più autonomo, ma rientrante nell’ambito del danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c. può essere risarcito solo allorché, alternativamente :
a) l’interesse che si assume leso e’ un diritto inviolabile della persona (oppure e’ riconducibile ad una espressa previsione di legge anche internazionale che consente il ristoro ex art. 2059 cc);
b) l’offesa arrecata al diritto e’ seria, oltre la soglia della tollerabilita’.
In tal caso l’onere della prova grava sul danneggiato e la liquidazione, se il danno è provato nell’an, può essere fatta ex art.. 1226 C.C anche equitativamente tramite presunzioni.
Riconosciuta l’esistenza del danno morale come danno non patrimoniale, precisato che detto danno è poi suscettibile di liquidazione equitativa ex artt. 1226 e 2056 c.c., deve accertarsi se nella fattispecie ricorrano le suindicate condizioni per la liquidazione nell’ambito del danno non patrimoniale ex art.2059 c.c. del danno da c.d. “emotional distress” o più’ semplicemente da c.d. “vacanza rovinata”.
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Nella fattispecie in esame ritiene il Giudicante in concreto sussistenti i presupposti per il risarcimento del danno esistenziale (rientrante nella categoria unitaria del danno non patrimoniale ) cagionato alla parte attrice.
Nella fattispecie che ci occupa è evidente, oltre l’inadempimento contrattuale delle convenute e della chiamata in causa, anche la violazione di posizioni tutelate dall’ordinamento.
Tanto detto sulla ricorrenza del danno ingiusto sub specie eventi, sul piano della prova, è jus receptum l’affermazione secondo la quale l’immaterialità dei pregiudizi in questione (lesione di valori inerenti alla persona) rende ammissibile il ricorso alla prova per presunzioni, sulla scorta di valutazioni prognostiche anche basate su fatti notori o massime di comune esperienza.
Nel caso in esame, il fatto della illegittimità del comportamento della convenuta e della chiamata in causa, dell’ansia e dai disagi provati dall’attore negli hotel ove avrebbe dovuto soggiornare dove nessuno lo confortava, la perdita di giorni di agognata vacanza consente di risalire al fatto ulteriore del peggioramento della qualità dell’esistenza.
Aderendo alla concezione cd. “statica” del danno esistenziale, esso emerge ipso iure, dalla prova del fatto antigiuridico (anche in relazione all’elemento soggettivo dell’illecito) che reca in sé l’accertamento del danno ingiusto.
Il rapporto di derivazione immediata e diretta del danno dal fatto lesivo accertato non richiede un particolare nisus argomentativo.
Il riconoscimento della persona umana, infatti, si sostanzia anche attraverso il rispetto dei desideri e delle aspettative che ognuno può avere in dati momenti della sua vita e che, giustamente, trovano tutela nell’ampio dettato del richiamato art. 2 della Costituzione. La lesione della personalità del soggetto è suscettibile di tutela, indipendentemente dallo specifico interesse leso che può anche non avere una diretta rilevanza costituzionale, ma va tutelato ogni qualvolta configuri una alterazione della manifestazione della personalità tutelata costituzionalmente ex art. 2 della costituzione . Il danno esistenziale è, quindi, individuabile, come nel caso di specie, ove sia accertata una modificazione peggiorativa, apprezzabile per intensità e qualità, nella sfera del soggetto leso, tra cui va fatta rientrare l’alterazione ( Cfr. App. Milano 14-02-03).
In definitiva va acclarata la risarcibilità del danno non patrimoniale (voce danno esistenziale) , anche in assenza di ipotesi di reato, in primo luogo proprio in ossequio alla prevista liquidabilità di “qualunque pregiudizio” derivante dall’ inadempimento dell’operatore turistico ai sensi dell’art.13 Convenzione dì Bruxelles del 23.4.1970 e della violazione del diritto alla normale qualità della vita ovvero alla libera estrinsecazione della personalità , diritto tutelato dall’art.2 della Costituzione ed in secondo luogo, può ritenersi che all’esito dell’istruttoria espletata sia stata dimostrata la gravità , la serietà e la durata della lesione nonché la rilevanza delle conseguenze sopra descritte, e che sia stato oltrepassato il limite della normale tollerabilità.
Ritiene questo giudicante che il danno non patrimoniale sofferto dall’attore (nella sua valutazione unitaria) vada quantificato complessivamente ed equitativamente nella misura di euro 500,00.
Va quindi dichiarata la esclusiva responsabilità della convenuta, —-., nonché della Agenzia —-, in persona dei rispettivi legali rapp.ti p.t., nel verificarsi dei danni, patrimoniali e non, per cui è causa, stante la colpevolezza per non aver tenuto un comportamento idoneo alle circostanze e per la violazione delle norme di correttezza e buona fede nell’adempimento di un contratto .
All’importo complessivo di Euro 956,00 [di cui Euro 456,00 a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali, ed Euro 500,00 a titolo di risarcimento danni non patrimoniali] devono aggiungersi gli interessi al tasso legale diretti a coprire ed a compensare l’ulteriore pregiudizio costituito dal mancato godimento dei frutti di un bene. Tali interessi, dato questo loro fondamento, decorrono dal fatto e fino all’effettivo soddisfo.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Giudice di Pace di Salerno, avv. Luigi Vingiani, ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione disattesa, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da —— nei confronti della ——I. e —– srl così provvede:
1.Accerta l’inadempimento della ————–. e ———–l, in persona dei rispettivi legali rapp.ti p.t., in merito ai fatti di cui in narrativa e la causazione dei disagi e disservizi lamentati dall’attore.
2.Per l’effetto, condanna, ———– e ———, in persona dei rispettivi legali rapp.ti p.t., in solido tra loro, al pagamento in favore dell’attore , della somma complessiva di Euro 956,00 [di cui Euro 456,00 a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali, ed Euro 500,00 a titolo di risarcimento danni non patrimoniali] . Il tutto con gli interessi legali dal fatto all’effettivo soddisfo.
3.Condanna la ————- e ————–, in persona dei rispettivi legali rapp.ti p.t., in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali che vengono liquidate in complessivi euro 650,00, di cui euro 100,00 per spese, euro 300,00 per diritti ed euro 250,00 per onorario, oltre 12,50% rimborso forfettario, iva e cpa come per legge, con attribuzione all’avvocato costituito antistatario.
Così deciso in Salerno, in data 9 luglio 2009.
Avv. Luigi Vingiani
Avv. Veronica Ribbeni
P.zza V. E. Orlando n. 6 – 90138 Palermo
Tel. 091.6113374 – Cell. 347.1939725