Con la L. 89/2001, c.d. Legge Pinto, è stato introdotto nell’ordinamento il diritto ad una equa riparazione in favore di tutti quei soggetti che abbiano subito un danno – patrimoniale o non patrimoniale – a causa dell’eccessiva durata del processo nel quale erano parti.
Il diritto ad un indennizzo è stato riconosciuto in tali casi poiché l’irragionevole durata del procedimento costituisce violazione dell’art. 111 della Costituzione, oltre che dell’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (ratificata dall’Italia con la L. 848/55), il quale prevede in merito che “Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”.
La domanda di riparazione potrà essere proposta avanti alla Corte d’Appello competente – da individuarsi ai sensi dell’art. 11 c.p.p. – nel corso del giudizio nel cui ambito si assume verificata la violazione, ovvero entro sei mesi dal momento in cui la decisione, che conclude detto procedimento, sia divenuta definitiva.
La Corte d’Appello è tenuta a pronunciarsi entro quattro mesi dal deposito della domanda, ed il decreto emesso è immediatamente esecutivo.
Per quanto riguarda più nello specifico il danno non patrimoniale, lo stesso può essere riparato, oltre che con il pagamento di una somma di denaro, anche con adeguate forme di pubblicità della dichiarazione dell’avvenuta violazione.
Con riferimento al processo civile la Corte di Cassazione, anche sulla scorta dei parametri utilizzati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, ha fissato in tre anni la ragionevole durata del primo grado di giudizio, ed ha previsto che l’importo dell’indennizzo per il danno vada ricompreso tra € 1.000,00 ed € 1.500,00 per ogni anno eccedente la ragionevole durata.
Tale parametro può subire una riduzione laddove l’entità del ritardo, ovvero la “posta in gioco” nel processo, siano di modesta entità. In ogni caso nel corso del giudizio per equa
riparazione saranno oggetto di valutazione la complessità del singolo caso e, anche in relazione alla stessa, il comportamento delle parti del Giudice del procedimento.
Va altresì evidenziato, infine, che secondo la Cassazione Civile l’esito negativo del processo di merito non esclude il diritto della parte soccombente al ristoro del danno, salvo ovviamente i casi di lite temerararia (da parte dell’attore) o di utilizzo di tecniche dilatorie al solo fine di ottenere l’equa riparazione (da parte del convenuto).