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Recesso dal contratto turistico per epidemie

Riportiamo il testo integrale della sentenza n. 1631/2007 emessa dalla Corte di Cassazione relativa alla legittimità del recesso del turista per il caso in cui il luogo di destinazione sia colpito da epidemia.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 24 luglio 2007, n. 16315

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 24/10/1998 la società X. s.r.l. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo nei suoi confronti emesso, su richiesta della società Y. s.a.s., emesso dal Giudice di Pace di Pescara ed avente ad oggetto il pagamento dell’indennità convenzionalmente pattuita per il recesso dal contratto di viaggio “tutto compreso” per due persone nell’isola di Cuba, eccependo che la disdetta della prenotazione da parte del proprio cliente era stata determinata da forza maggiore, per essere in atto in quel periodo nell’isola di Cuba un’epidemia di “dengue” emorragico. In via subordinata chiedeva che venisse disposta la riduzione del quantum dovuto.

Chiamato in causa dalla X. s.r.l., in garanzia, anche il sig. V.G., per conto del quale essa aveva “prenotato” il pacchetto turistico de quo, che aderiva alle difese svolte dalla società chiamante precisando di avere con la medesima consensualmente risolto il contratto per il viaggio a Cuba “sostituendolo” con altro da svolgersi in Messico, con sentenza del 9/12/1999 l’adito giudice accoglieva l’opposizione, e per l’effetto revocava l’emesso decreto ingiuntivo.

Il gravame interposto dalla Y. s.a.s. nella resistenza della X. e del V. veniva successivamente rigettato dal Tribunale di Pescara, che riteneva peraltro nel caso ricorrere non già un’ipotesi di sopravvenuta impossibilità della prestazione ex art. 1463 c.c., come ritenuto dal giudice di prime cure, bensì di impossibilità sopravvenuta della prestazione meramente parziale, ai sensi dell’art. 1464 c.c., legittimante la scelta tra riduzione del prezzo e recesso dal contratto.

Avverso la suddetta sentenza del Giudice dell’appello la società Y. s.a.s. propone ora ricorso per Cassazione, affidato a 2 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso la società X. s.r.l..

Motivi della decisione

Con il 1^ motivo la società ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1256, 1463 e 1464 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole essere stata nel caso erroneamente ritenuta integrata un’ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione, tale viceversa non essendo la “prestazione dedotta in contratto” (nella specie il viaggio ed il soggiorno nella destinazione pattuita), in difetto di “prova alcuna dell’esistenza di provvedimenti di interdizione o di restrizione ai flussi turistici per la destinazione prescelta, ovvero dell’oggettiva impossibilità di raggiungere e soggiornare nella città di Santiago de Cuba”.

Lamenta che si sono a tale stregua privilegiate piuttosto le “finalità ulteriori” in base alle quali l’acquirente del “pacchetto turistico” si è nel caso indotto ad esercitare il “recesso” dal contratto, indebitamente assegnandosi rilievo a mere “soggettive valutazioni circa l’opportunità e la convenienza di effettuare il viaggio (non volendo egli esporsi neppure a rischi modesti)”, anzichè all'”effettiva impossibilità di fruire dei servizi offerti dall’organizzazione in conformità del contratto”.

Si duole che non si sia tenuto conto come già “dalla comunicazione in data 17.7.1997 dell’Ambasciata di Cuba a Roma (doc. 2 del fascicolo di primo grado)”, e quindi in epoca precedente all’esercizio del recesso”, la situazione sanitaria risultava essere “totalmente sotto controllo, e ricondotta in condizioni di normalità”, essendosi altresì trascurato di considerare che “il dengue emorragico è malattia endemica nell’isola di Cuba, mai debellata. Non a caso il Ministero degli Esteri italiano non ha mai diramato alcuna comunicazione intesa a vietare, o anche solo a sconsigliare, i viaggi verso Cuba e verso la città di Santiago de Cuba”.

Con il 2^ motivo denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 1084 del 1977, art. 9, nonchè della specifica disciplina contrattuale in tema di recesso del viaggiatore”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta la violazione nel caso della disciplina sia convenzionale (art. 5 condizioni generali del contratto di viaggio) che legale (L. n. 1084 del 1977, art. 9) in materia di contratto di viaggio, in base alla quale, a fronte della possibilità per l’acquirente di “pacchetto turistico” di recedere dal contratto, spetta all’organizzatore del viaggio la corresponsione “di un corrispettivo via via crescente in relazione all’approssimarsi della data della prevista partenza”. Si duole non essersi dai Giudici di merito altresì considerato che ad “integrazione del contratto di viaggio oggetto della controversia (doc. n. 4 del fascicolo della fase monitoria)” per l’ipotesi del recesso del viaggiatore era stato nella specie espressamente previsto il seguente regolamento convenzionale: “- nessun corrispettivo a carico del viaggiatore nel caso di recesso sino a 45 giorni lavorativi prima della partenza; – un corrispettivo del 10% del costo del viaggio nel caso di recesso esercitato tra i 45 ed i 21 giorni lavorativi prima della partenza; un corrispettivo del 50% da 20 a 11 giorni lavorativi prima della partenza; – un corrispettivo del 75% da 10 a 3 giorni prima della partenza; l’intero prezzo del viaggio oltre tale ultimo termine”. Lamenta che nel violare “tale assetto”, si è nell’impugnata sentenza pervenuti a “porre a carico dell’organizzatore di viaggi il rischio di qualunque evento, ancorchè non dipendente dalla sua volontà nè imputabile a sua responsabilità, che sia suscettibile di rendere il viaggio anche solo soggettivamente meno piacevole per il viaggiatore”. I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili ed in parte infondati nei termini di seguito indicati. Come questa Corte ha già avuto ripetutamente modo di affermare, i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione stessa, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) e sotto quale profilo, abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito. Ai fini della sussistenza del requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa, prescritto a pena d’inammissibilità per il ricorso per Cassazione dall’art. 366 c.p.c., è infatti necessario che nel conto dell’atto d’impugnazione si rinvengano gli elementi indispensabili perchè il Giudice di legittimità possa avere, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti del processo, ivi compresa la sentenza impugnata, una chiara e completa visione dell’oggetto dell’impugnazione, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937). E’ cioè indispensabile che dal conto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del Giudice a quo (v. Cass., 4/6/1999, n. 5492). Orbene, tali principi risultano dalla odierna ricorrente non osservati, laddove essa si limita a fare inammissibilmente rinvio ad atti del giudizio di merito (in particolare alla “comunicazione in data 17.7.1997 dell’Ambasciata di Cuba a Roma (doc. 2 del fascicolo di primo grado)” nonchè all'”art. 5 condizioni generali di viaggio”, e, ancora, alla “integrazione del contratto di viaggio oggetto della controversia (doc. n. 4 del fascicolo della fase monitoria)”, asseritamente prevedente, per il caso di recesso del viaggiatore, un “regolamento convenzionale”), anzichè debitamente trascriverli nel ricorso.
Va quindi sotto altro profilo sottolineato come risulti dai Giudici di merito accertato, e del resto emergente anche dagli odierni scritti difensivi delle parti (v. pag. 2 del ricorso della Y. s.a.s., in atti), che nel caso l’agenzia di viaggi X. ha “prenotato” per conto del cliente V. un “pacchetto turistico comprensivo di volo e soggiorno per due persone a Santiago De Cuba nel periodo 6-19 agosto 1997”. Negozio che il giudice dell’appello ha ricondotto al contratto di “viaggio tutto compreso”, caratterizzato da una “complessiva prestazione cui era tenuta la X. … che si sostanziava non nella semplice messa a disposizione di un pacchetto turistico ma nella necessità di assicurare che quella vacanza sarebbe stata poi fruita in condizioni di ordinaria tranquillità, secondo i canoni di valutazione propri di un turista medio”.
A tale stregua, attesa l’accertata sussistenza di una epidemia di dengue emorragico nell’isola di Cuba, nel confermare “in diritto” la “decisione del Giudice di Pace, che aveva “ritenuto (art. 1463 c.c.) essere divenuta impossibile la complessiva prestazione cui era tenuta la X.”, traendone “la duplice conseguenza” che la medesima “doveva essere ritenuta liberata da quella prestazione e …, al tempo stesso, non poteva pretendere alcuna controprestazione dalla Aternum”, il Giudice dell’appello ha considerato come invero “più proprio” il “riferimento all’art. 1464 c.c. (in luogo dell’art. 1463 c.c.)”, atteso che la prestazione della X. era divenuta solo parzialmente impossibile, nel senso che quella poteva, sì, assicurare lo svolgimento del soggiorno, ma non anche adeguati standard di sicurezza sanitaria: in questo caso, quindi, l’altro contraente aveva facoltà di scegliere tra la riduzione del prezzo ed il recesso dal contratto (così come è poi in concreto accaduto), se non avesse avuto interesse a quella prestazione monca”. Ha al riguardo sottolineato il tribunale che “il V. si recava a Cuba per un viaggio di piacere”, sicchè l’accertata sussistenza di un “focolaio endemico non … ancora completamente debellato” non consentiva invero al predetto di poter compiutamente godere della prestazione dovutagli, residuando “il pericolo di contrarre la malattia, specialmente in considerazione del fatto che essa, propagandosi con la puntura d’insetti, da un canto non consente alcuna efficace e tranquillizzante forma di difesa e, dall’altro, può in breve tempo propagarsi anche in zone che erano rimaste fino a quel momento immuni”. A tale stregua, il Giudice dell’appello ha ritenuto in effetti giustificata la “scelta” del medesimo di “non volersi esporre neppure ad un rischio di modesta entità”.
Orbene, va anzitutto posto in rilievo come risulti corretta la qualificazione operata dal giudice dell’appello della vicenda posta nella specie in essere dalle parti in termini di contratto viaggio vacanza “tutto compreso” (cd. “pacchetto turistico” o package) previsto dal D.Lgs. n. 111 del 1995, ed ora trasfuso nel D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 82 e segg. (cd. Codice del Consumo).

Ipotesi che va invero distinta dal contratto di organizzazione (art. 5 e segg.) o di intermediazione (art. 17 e segg.) di viaggio (CCV) di cui alla Conv. Bruxelles del 23/4/1970 (resa esecutiva con L. 27 dicembre 1977, n. 1084), in base al quale un operatore turistico professionale si obbliga verso corrispettivo a procurare uno o più servizi di base (trasporto, albergo, ecc.) per l’effettuazione di un viaggio o di un soggiorno. Rispetto a quest’ultimo, in cui le prestazioni ed i servizi si profilano come separati, e vengono in rilievo diversi tipi di rapporto, prevalendo gli aspetti dell’organizzazione e dell’intermediazione (cfr. Cass., 17/7/2001, n. 9691; Cass., 6/11/1996, n. 9643), con applicazione in particolare della disciplina del trasporto (v. Cass., 6/11/1996, n. 9643; Cass., 26/6/1964, n. 1706) ovvero – in difetto di diretta assunzione da parte dell’organizzatore dell’obbligo di trasporto dei clienti – del mandato senza rappresentanza o dell’appalto di servizi (v. Cass., 23/4/1997, n. 3504; Cass., 6/1/1982, n. 7; Cass., 28/5/1977, n. 2202), ed al di là del diverso ambito di applicazione derivante dai (differenti) limiti territoriali, il contratto di viaggio vacanza “tutto compreso” (o di package) si caratterizza sia sotto il profilo soggettivo che per l’oggetto e la finalità.

Il “pacchetto turistico”, che può essere dall’organizzatore alienato direttamente o tramite un venditore (D.Lgs. n. 111 del 1995, art. 3,comma 2, ora trasfuso nel D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 83, comma 2, – Codice del consumo -), risulta infatti dalla prefissata combinazione di almeno due degli elementi costituiti dal trasporto, dall’alloggio e da servizi turistici agli stessi non accessori (itinerario, visite, escursioni con accompagnatori e guide turistiche, ecc.) costituenti parte significativa del “pacchetto turistico”, con durata superiore alle 24 ore ovvero estendentesi per un periodo di tempo comportante almeno una notte (D.Lgs. n. 111 del 1995, art. 2 e segg., ora trasfuso nell’art. 84 del Codice del Consumo).

La pluralità di attività e servizi che compendiano la prestazione valgono in particolare a connotare la finalità che la stessa è volta a realizzare. Il trasporto o il soggiorno o il servizio alberghiero assumono infatti al riguardo rilievo non già singolarmente e separatamente considerati bensì nella loro unitarietà funzionale, non potendo al riguardo prescindersi dalla considerazione dei medesimi alla stregua della “finalità turistica” che la prestazione complessa di cui si sostanziano appunto quali elementi costitutivi è funzionalmente volta a soddisfare.

I plurimi aspetti e profili in cui viene a compendiarsi la complessa prestazione ideata ed organizzata dal cd. tour operator sono infatti funzionalizzati al soddisfacimento dei profili – da apprezzarsi in condizioni di normalità avuto riguardo alle circostanze concrete del caso – di relax, svago, ricreativi, ludici, culturali, escursionistici, ecc. in cui si sostanzia la “finalità turistica”, o lo “scopo di piacere” assicurato dalla vacanza, che il turista- consumatore in particolare persegue nell’indursi alla stipulazione del contratto di viaggio vacanza “tutto compreso”.

Diversamente da quanto sostenuto dall’odierna ricorrente, la suddetta “finalità turistica” (o “scopo di piacere”) non costituisce pertanto un irrilevante motivo del contratto de quo.

La “finalità turistica” non si sostanzia infatti negli interessi che rimangono nella sfera volitiva interna dell’acquirente il package costituendo l’impulso psichico che lo spingono alla stipulazione del contratto, ma viene ad (anche tacitamente) obiettivarsi in tale tipo di contratto, divenendo interesse che lo stesso è funzionalmente volto a soddisfare, pertanto connotandone la causa concreta (cfr. Cass., 25/5/2007, n. 12235; Cass., 8/5/2006, n. 10490).
Causa concreta che, da un canto, vale a qualificare il contratto, determinando l’essenzialità di tutte le attività ed i servizi strumentali alla realizzazione del preminente scopo vacanziero, e cioè il benessere psico-fisico che il pieno godimento della vacanza come occasione di svago e di riposo è volto a realizzare. Da altro canto, assume rilievo quale criterio di adeguamento del contratto. La causa concreta viene a rivestire, come non si è mancato di osservare in dottrina, decisiva rilevanza altresì in ordine alla sorte della vicenda contrattuale, in ragione di eventi sopravvenuti che si ripercuotono sullo svolgimento del rapporto, quali ad es. l’impossibilità o l’aggravio della prestazione, l’inadempimento, ecc.. Eventi negativamente incidenti sull’interesse creditorio (nel caso, turistico) sino a farlo venire del tutto meno laddove – in base a criteri di normalità avuto riguardo alle circostanze concrete del caso – essi depongano per l’impossibilità della relativa realizzazione. In tal caso, il venir meno dell’interesse creditorio determina invero l’estinzione del rapporto obbligatorio, in ragione del sopravvenuto difetto dell’elemento funzionale (art. 1174 c.c.).

E ove come nella specie il rapporto obbligatorio trovi fonte in un contratto, il venir meno dell’interesse creditorio comporta la irrealizzabilità della causa concreta del medesimo, assumendo conseguentemente rilievo quale autonoma causa di relativa estinzione. Il venir meno dell’interesse creditorio e della causa del contratto che ne costituisce la fonte, va al riguardo sottolineato, può essere invero determinata anche dalla sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione. Deve trattarsi di impossibilità di utilizzazione della prestazione non imputabile al creditore, incidente sull’interesse che risulta anche tacitamente obiettivato nel contratto e che ne connota la causa concreta. Trattandosi di contratto di viaggio vacanza “tutto compreso” (o di package) la sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione deve essere come nella specie tale da vanificare o rendere irrealizzabile la “finalità di vacanza”, laddove irrilevanti rimangono viceversa le finalità ulteriori per le quali il turista si induce a stipulare il contratto (es., desiderio di allontanarsi per un po’ dal coniuge o dalla ci cerchia degli amici o dall’ambiente di lavoro), in cui si sostanziano propriamente i motivi. Come è stato posto in rilievo in dottrina, l’impossibilità sopravvenuta di utilizzazione della prestazione costituisce figura diversa dall’impossibilità sopravvenuta (totale o parziale) della prestazione, cui non è invero riconducibile.

La totale impossibilità sopravvenuta della prestazione (art. 1463 c.c.), che consiste in un impedimento assoluto ed oggettivo, a carattere definitivo, della prestazione (v. Cass., 16/2/2006, n. 3440; Cass., 22/10/1982, n. 5496; Cass., 6/2/1979, n. 794; Cass., 27/6/1978, n. 3166; Cass., 8/10/1973, n. 2532; Cass., 14/10/1970, n. 2018; Cass., 29/10/1962, n. 3076), integra infatti un fenomeno di automatica estinzione dell’obbligazione e risoluzione del contratto che ne costituisce la fonte ai sensi dell’art. 1463 c.c. e art. 1256 c.c., comma 1 (v. Cass., 28/1/1995, n. 1037; Cass., 9/11/1994, n. 9304; Cass., 24/4/1982, n. 2548; Cass., 14/10/1970, n. 2018), in ragione del venir meno della relazione di interdipendenza funzionale in cui la medesima si trova con la prestazione della controparte (cd. sinallagma funzionale), a tale stregua conseguendo la irrealizzabilità della causa concreta del contratto (cfr. Cass., 24/4/1982, n. 2548; Cass., 15/12/1975, n. 4140; Cass., 26/3/1971, n. 882; Cass., 14/4/1959, n. 1092; Cass., 26/3/1954, n. 894). L’impossibilità parziale (art. 1464 c.c.) consiste invece nel deterioramento della cosa dovuta, o più generalmente nella riduzione materiale della prestazione (cfr. Cass., 10/4/1995, n. 4119) che dà luogo ad una corrispondente riduzione della controprestazione o al diritto al recesso per la parte che non abbia un apprezzabile interesse al mantenimento del contratto, laddove la prestazione residua venga a risultare incompatibile con la causa concreta del contratto (cfr. Cass., 15/12/1975, n. 4140).
Diversamente da tale ipotesi, l’impossibilità di utilizzazione della prestazione non viene in realtà a sostanziarsi in un impedimento precludente l’attuazione dell’obbligazione, non presupponendone di per sè l’obiettiva ineseguibilità da parte del debitore. Pur essendo la prestazione in astratto ancora eseguibile (cfr. Cass., 27/9/1999, n. 10690), il venir meno della possibilità che essa realizzi lo scopo dalle parti perseguito con la stipulazione del contratto (nel caso, lo “scopo di piacere” in cui si sostanzia la “finalità turistica”), essa implica il venir meno dell’interesse creditorio, quale vicenda che attiene esclusivamente alla sfera del creditore (in dottrina si segnala l’esempio secondo cui il fatto che il compratore si sia procurata la merce da altro fornitore non impedisce al venditore di effettuare la consegna prevista). Come osservato in dottrina, mentre nelle ipotesi in cui la prestazione diviene impossibile l’obbligazione si estingue per il concorso delle due cause estintive, l’impossibilità sopravvenuta della utilizzabilità della prestazione estingue invero il rapporto obbligatorio per il venir dell’interesse creditorio, e di conseguenza il contratto che dell’obbligazione costituisce la fonte per irrealizzabilità della relativa causa concreta. La sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione deve dunque distinguersi dalla sopravvenuta impossibilità della esecuzione della prestazione (v. peraltro ancora Cass., 2/5/2006, n. 10138) di cui agli artt. 1463 e 1464 c.c. (v. Cass., 16/2/2006, n. 3440; Cass., 28/1/1995, n. 1037). Superando le perplessità in passato avvertite in argomento (v. Cass., 9/11/1994, n. 9304), e in accordo con quanto anche autorevolmente sostenuto in dottrina, va pertanto affermato che l’impossibilità di utilizzazione della prestazione da parte del creditore, pur se normativamente non specificamente prevista, costituisce – analogamente all’impossibilità di esecuzione della prestazione – (autonoma) causa di estinzione dell’obbligazione. Nella vicenda che ne occupa, secondo quanto accertato dai Giudici di merito l’epidemia di dengue emorragico in atto nell’isola di Cuba ha invero indubbiamente determinato nell’acquirente del “pacchetto turistico” tutto compreso de quo il venir meno dell’interesse pratico che la relativa complessa prestazione era, nella sua unitaria considerazione, nel caso funzionalmente volta a soddisfare. Premesso che (anche) l’impossibilità della esecuzione della prestazione complessa del contratto di viaggio vacanza “tutto compreso” o package è da valutarsi avuto riguardo allo “scopo turistico” che il medesimo è funzionalizzato a soddisfare, va sottolineato come nell’impugnata sentenza risulti in effetti posto in rilievo che il contratto de quo “si sostanziava non nella semplice messa a disposizione di un pacchetto turistico ma nella necessità di assicurare che quella vacanza sarebbe stata poi fruita in condizioni di ordinaria tranquillità, secondo i canoni di valutazione propri di un turista medio”.

Il Giudice dell’appello, nell’escludere la ricorrenza nel caso dell’ipotesi di sopravvenuta impossibilità di esecuzione della prestazione ai sensi dell’art. 1463 c.c., viceversa ravvisata dal Giudice di prime cure, ha ritenuto nella specie configurabile un’ipotesi di impossibilità parziale ex art. 1464 c.c., della prestazione, in presenza di prestazione ravvisata effettuabile pur se “monca”, stante l’accertata mancanza degli “adeguati standard di sicurezza sanitaria”. Orbene, anche la parziale impossibilità sopravvenuta della prestazione di cui all’art. 1464 c.c., appare invero nel caso non correttamente evocata. L’epidemia di dengue emorragico costituisce infatti evento determinante non già il deterioramento o la riduzione della prestazione (v. Cass., 17/7/1987, n. 6299) bensì il venir meno del normale standard di sicurezza sanitaria del luogo di esecuzione della prestazione turistica. Nella situazione nel caso determinatasi, certamente non deponente per la normalità delle condizioni igienico-sanitarie dell’Isola di Cuba, l’esecuzione della prestazione turistica è venuta a risultare infatti comunque inidonea al soddisfacimento dell’interesse del V. al godimento della vacanza “tutto compreso” nei suoi molteplici aspetti di relax, svago, culturali, ecc., pienamente godibili solamente in presenza delle imprescindibili condizioni di sicurezza sanitaria, secondo i normali standard del luogo di destinazione prescelto, come dai Giudici del merito correttamente posto in rilievo nel sottolineare che l’accertata sussistenza di “focolaio endemico non … ancora completamente debellato” non rispondeva alla “necessità di assicurare che quella vacanza sarebbe stata poi fruita in condizioni di ordinaria tranquillità, secondo i canoni di valutazione propri di un turista medio”. Tale mancanza ha nella specie inciso, in termini di relativo venir meno, sull’interesse creditorio del suindicato acquirente del “pacchetto turistico”, con conseguente sopravvenuta irrealizzabilità della causa concreta del contratto de quo dal medesimo stipulato. Alla stregua di quanto sopra esposto va allora affermato che è piuttosto la sopravvenuta impossibilità (non ascrivibile alle parti) di utilizzazione della prestazione in argomento da parte del V. a venire nel caso propriamente in rilievo. Nell’adeguatamente valorizzare l’interesse creditorio e la causa concreta del contratto di package anche sotto il profilo della sorte del rapporto obbligatorio e della vicenda contrattuale, tale figura non privilegia invero la “impossibilità del raggiungimento delle soggettive finalità ulteriori del creditore”, e pertanto i motivi, attribuendo decisivo rilievo al suo “sopravvenuto sgradimento” per “la destinazione prescelta per il viaggio”, ma consente di valorizzare gli specifici ed essenziali interessi perseguiti mediante la stipulazione di tale tipo di contratto, che ne integrano la causa concreta.

Inconfigurabili soluzioni estreme come quella prevista all’art. 1463 c.c., la figura della sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione si rivela istituto dotato di flessibilità, là dove consente di pervenire, nel coerente contemperamento delle diverse esigenze, a soluzioni differenti in presenza di situazioni diverse, senza che le parti incorrano in responsabilità. Lo “scopo turistico” consente infatti di spiegare come la relativa persistenza giustifichi l’esecuzione del contratto in favore del turista che intenda usufruirne, anche a costo di correre il rischio di contrarre il morbo, senza esporre il tour operator alle conseguenze dell’inadempimento in cui incorrerebbe laddove intendesse non darvi più attuazione. E al contempo permette al turista che come nella specie quel rischio non voglia viceversa correre di non avvalersi della prestazione senza essere comunque tenuto alla corresponsione del corrispettivo. Emerge con tutta evidenza a tale stregua come, quand’anche obiettivamente eseguibili il trasporto ed il soggiorno nella loro autonoma e separata considerazione, la complessa prestazione del contratto di viaggio vacanza “tutto compreso” in questione risulta nel caso divenuta per il V. inutilizzabile, stante la non disponibilità del medesimo ad usufruirne anche a rischio della contrazione del morbo. Rischio che, diversamente da quanto sembra invero in qualche modo adombrare l’odierno ricorrente laddove si duole che “il recesso del viaggiatore era stato dettato esclusivamente da sue soggettive valutazioni circa l’opportunità e la convenienza di effettuare il viaggio (non volendo egli esporsi neppure a rischi modesti….”), certamente al medesimo non può invero, quand’anche – in ipotesi – minimo, “imporsi” di correre.

Essendo la prestazione de qua divenuta inidonea a soddisfare l’interesse creditorio, l’estinzione dello stipulato contratto in argomento per irrealizzabilità della causa concreta comporta, va infine sottolineato, l’esonero delle parti dalle rispettive obbligazioni. Il debitore non è pertanto più tenuto ad eseguirla, ed il creditore non ha l’onere di accettarla. Non vi è pertanto luogo nel caso alla corresponsione dell’indennità per il recesso di cui alla evocata disciplina in tema di contratto di viaggio (C.C.V.). Va, d’altro canto, posto al riguardo in rilievo che il principio di buona fede oggettiva o correttezza (quale generale principio di solidarietà sociale che trova applicazione a prescindere alla sussistenza di specifici obblighi contrattuali, imponendo al soggetto di mantenere nei rapporti della vita di relazione un comportamento leale, specificantesi in obblighi di informazione e di avviso, nonchè volto alla salvaguardia dell’utilità altrui nei limiti dell’apprezzabile sacrificio, dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità in ordine ai falsi affidamenti anche solo colposamente ingenerati nei terzi) impone invero al creditore di avvisare il debitore dell’inutilità della prestazione, essendo in difetto tenuto al risarcimento dei danni (cfr. Cass., 27/10/2006, n. 23273; Cass., 20/2/2006, n. 3651). Una siffatta domanda, anche riguardandosi alla stregua del suindicato profilo la lamentata tardività della “disdetta”, non risulta peraltro dall’odierna ricorrente formulata. In conclusione, pur risultando nell’impugnata sentenza dai Giudici del merito – cui spetta l’accertamento in ordine alla sussistenza della causa di sopravvenuta impossibilità della prestazione, con valutazione incensurabile in cassazione in presenza di congrua motivazione (cfr. Cass., 20/1/2001, n. 831; Cass., 30/3/1998, n. 3344; Cass., 19/1/1983, n. 498) – correttamente sottolineata la necessità di aversi riguardo alla “complessiva prestazione”, non sostanziantesi nella “semplice messa a disposizione di un pacchetto turistico”, e pur essendo ivi posto in rilievo come l’accertata epidemia in atto nell’isola di Cuba non consentiva di “rassicurare lo svolgimento del soggiorno” secondo “adeguati standard di sicurezza sanitaria”, a tale stregua rimanendo essenzialmente compromessa la “necessità di assicurare che quella vacanza sarebbe stata poi fruita in condizioni di ordinaria tranquillità, secondo i canoni di valutazione propri di un turista medio”, erronea risulta invero, alla stregua di quanto sopra esposto, la ritenuta configurabilità nella specie dell’istituto dell’impossibilità della prestazione avuto riguardo al profilo della relativa eseguibilità da parte del debitore, e non già della utilizzabilità da parte del creditore (turista-consumatore).

Poichè il dispositivo risulta tuttavia conforme a diritto, è nel caso sufficiente farsi luogo, in applicazione dei poteri conferiti dall’art. 384 c.p.c., comma 2, alla mera correzione della motivazione nei sensi fatti sopra palesi, l’impugnata sentenza potendo essere mantenuta ferma per il resto.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.000,00, di cui Euro 900,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 22 marzo 2007.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2007.

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