Con la sentenza n. 5189 del 04.03.2010 la cassazione viene ad occuparsi del delicato tema della configurabilità del danno da vacanza rovinata per il caso in cui il luogo di destinazione risulti non rispondentne alle aspettative del viaggiatore per la spiaggia sporca e il mare inquinato
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 29.6.2000, G. Franco e F. Nadia convenivano in giudizio dinnanzi al Tribunale di Pordenone la F. International s.p.a. chiedendone la condanna al pagamento della somma di lire 10.000.000, quale risarcimento dei danni da essi patiti a seguito di un soggiorno effettuato a Creta dal 23 al 30 agosto 1999.
Gli attori esponevano, infatti, di avere acquistato un “pacchetto turistico” offerto dalla società convenuta presso l’azienda A. Viaggi di Pordenone, avente ad oggetto il trasferimento aereo e l’alloggiamento presso il Club (…) di Creta, le fotografie del quale, pubblicate sul depliant, riproducevano una bella spiaggia antistante l’albergo ed un bel mare. Invece, giunti sul posto, avevano constatato che la spiaggia era sporca ed il mare diffusamente inquinato da idrocarburi.
A seguito di ciò, l’agenzia A. si era dichiarata disposta a favorire il trasferimento in un altro albergo del G. e della F. , a condizione, però, della rinuncia di questi ultimi a far valere eventuali richieste risarcitorie; dopo aver rifiutato tale patto, gli odierni resistenti avevano personalmente dovuto sostenere le spese di un diverso ed adeguato alloggiamento. La F. International s.p.a., ritualmente costituitasi in giudizio, eccepiva preliminarmente l’improponibilità della domanda per difetto della formale contestazione ex art. 19 del decreto_legislativo_111_1995, chiedendo, nel merito, il rigetto della domanda, non essendo la spiaggia di proprietà dell’albergo e non dipendendo l’inquinamento del mare dall’organizzatore del viaggio. L’adito Tribunale di Pordenone, in composizione monocratica, con sentenza n. 365/2002, respingeva la domanda; affermava, in particolare che “la pulizia della spiaggia e la purezza dell’acqua del mare, oltre a non dipendere dalla volontà del responsabile dell’hotel, non appare essere stata garantita agli attori a mezzo della stampa del depliant pubblicitario”.
A seguito dell’appello del G. e della F. , costituitasi la F. , la Corte d’Appello di Trieste, con la decisione in esame, depositata in data 25.2.2005, in riforma di quanto statuito in primo grado, così statuiva: condanna F. International s.p.a., in persona del legale rappresentante, a pagare a G. Franco e a F. Nadia la somma complessiva di euro 1.163,45 oltre alla rivalutazione monetaria ed agli altri interessi legali sull’ammontare progressivamente così rivalutato dal 23.8.1999 al saldo. Affermavano, in particolare, i giudici di secondo grado che “con l’offerta del pacchetto turistico in esame, la società convenuta ha assunto obbligo di consentire agli acquirenti la fruizione di una spiaggia attrezzata e pulita e di un mare effettivamente balneabile, caratteristiche queste diffusamente evidenziate nel depliant illustrativo, che costituisce parte integrante dell’offerta contrattuale per contro, quel mare e quella spiaggia si sono rivelati in condizioni di inaccettabile sporcizia e disordine né, del resto, la F. International può invocare rispetto a tale situazione un esonero di responsabilità, non avendo essa provato che le scadenti condizioni dei luoghi rispetto a quanto pubblicizzato ed offerto derivassero da caso fortuito o forza maggiore e non piuttosto da incuria o insufficiente manutenzione degli stessi (fattori, questi, di cui il venditore del pacchetto turistico deve comunque rispondere nei confronti del cliente)”.
Ricorre per cassazione la A. s.p.a., con tre motivi; resistono con controricorso gli intimati. La A. ha altresì depositato memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 14 D.lgs. 111/1995 (art. 360 co. 1 n. 3 e 5)”. Si afferma in proposito che ha errato la Corte di merito nell’individuazione delle prestazioni a carico della F. s.p.a. in quanto l’organizzatore è tenuto a fornire tutti i servizi indicati ma non può certo garantire che le condizioni del mare siano sempre ottimali e senza per questo doversi ritenere che la foto riprodotta sul depliant non corrisponda all’effettivo stato dei luoghi. A ben vedere infatti ciò non è contestato, essendo per contro imperniata la doglianza delle controparti in una sorta di temporanea e parziale godibilità della “componente mare” per fatti contingenti.
Con il secondo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 17 D.lgs. 111/95 e dell’art. 2697 c.c. (art. 360, comma 1 n. 3 e 5)”, in relazione al ritenuto inadempimento dell’onere probatorio a carico della F. riguardo ad un’eventuale situazione, escludente la responsabilità della stessa e configurabile caso fortuito o forza maggiore. In proposito si fa presente che “il Tour Operator non era tenuto a fornire la prova in questione posto che, come detto, non si è venuto a configurare un inadempimento contrattuale che avrebbe indotto l’organizzatore a giustificare l’eventuale esonero di responsabilità. Incombeva, piuttosto, sugli attori, contro le evidenze documentali di segno contrario, fornire la prova che lo specchio d’acqua non fosse balneabile, ed in che misura”.
Con il terzo motivo si deduce “omessa e insufficiente motivazione su un punto della controversia risarcimento del “danno da vacanza rovinata” (art. 360 c. 1, n. 5). In particolare si fa presente che “la motivazione che sorregge il riconosciuto danno di natura non patrimoniale, appare del tutto insufficiente. Infatti, benché le sentenze citate (Cass. n. 8827/2003 e 8828/2003) abbiano riconosciuto la risarcibilità del danno morale, indipendentemente dai vincoli posti dall’art. 2059 c.c., esse ricollegano a due presupposti fondamentali e, precisamente: l’imputazione dell’evento (deve cioè accertarsi il nesso di casualità tra l’evento e la condotta del responsabile) e la prova del danno (deve essere fornita la prova del pregiudizio arrecato all’interesse inerente alla persona costituzionalmente garantito). Nel caso in esame la Corte d’Appello si è limitata ad affermare che il danno risarcibile si identifica nello scadimento della qualità del soggiorno, da ritenere apprezzabile; manca nella motivazione della sentenza, qualsiasi riferimento alla accertata imputabilità al Tour Operator dei fatti lamentati, nonché alla provata lesione di un interesse inerente la persona”.
Il ricorso non merita accoglimento in relazione a tutte le suesposte doglianze, da trattarsi congiuntamente in quanto aventi ad oggetto il medesimo thema decidendum della responsabilità della A. s.p.a. (incorporante per fusione la F. International s.p.a., con atto del 27.10.2003), come affermata dalla Corte di merito, e della relativa motivazione dell’impugnata decisione.
Deve, anzitutto, rilevarsi che la fattispecie in esame rientra nella disciplina del d.lgs. n. 111/1995 (attuativa della direttiva Cee n. 90/314), disciplinante i viaggi e le vacanze “tutto compreso”, in quanto applicabile ai rapporti sorti anteriormente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 206/2005 (codice_del_consumo); in particolare deve farsi riferimento all’art. 14 ove si afferma che, in caso di mancato od inesatto inadempimento delle obbligazioni assunte con la vendita del pacchetto turistico, l’organizzatore e il venditore sono tenuti al risarcimento del danno (secondo le rispettive responsabilità, salvo prova di impossibilità della prestazione per causa a loro non imputabile); con l’ulteriore previsione che l’organizzatore o il venditore che si avvale di altri prestatori di servizi è “comunque” tenuto a risarcire il danno sofferto dal consumatore, salvo il diritto di rivalersi nei loro confronti.
Ciò premesso è da osservare che, sulla base di detta normativa, non censurabile è la sentenza in esame là dove, dapprima ha ritenuto, la F. , quale organizzatrice del viaggio, responsabile dell’inadempimento in questione nei confronti degli odierni resistenti sulla base della non corrispondenza tra quanto “promesso” (rectius: contrattualmente pattuito in relazione al livello qualitativo dell’originaria offerta di viaggio “tutto compreso”, come risultante da un depliant illustrativo da ritenersi parte integrante del contratto stesso) e quanto realmente “prestato” in sede di adempimento e là dove, in seguito, ha rilevato che la stessa F. non avesse adempiuto l’onere probatorio a suo carico (avente ad oggetto un’eventuale impossibilità della prestazione ad essa non addebitabile).
Ed infatti: l’art. 14 in esame, al 1° comma contiene una disciplina analoga a quella, in tema di responsabilità contrattuale, di cui al combinato disposto degli artt. 1218 e 1256 c.c. (salva la “particolarità” di cui al 2° comma, vale a dire l’obbligo “comunque” di risarcire il danno con possibilità di rivalersi da parte dell’organizzatore o venditore nei confronti di altri prestatori di servizi, in considerazione sia dell’esigenza di maggiore tutela del consumatore-utente del viaggio, sia della valutazione che l’adempimento di un pacchetto turistico è, nella prassi, a carico di più soggetti “debitori”).
Ne deriva che con il contratto avente ad oggetto un pacchetto turistico “tutto compreso”, sottoscritto dall’utente sulla base di una articolata proposta contrattuale, spesso basata su un depliant illustrativo, l’organizzatore o il venditore assumono specifici obblighi, soprattutto di tipo qualitativo, riguardo a modalità di viaggio, sistemazione alberghiera, livello dei servizi etc., che vanno “esattamente” adempiuti; pertanto ove, come nel caso in esame, la prestazione non sia esattamente realizzata, sulla base di un criterio medio di diligenza ex. art. 1176 1° comma c.c. (da valutarsi in sede di fase di merito), si configura responsabilità contrattuale, tranne nel caso in cui, come detto, organizzatore o venditore non forniscano adeguata prova di un inadempimento ad essi non imputabile.
È evidente, in relazione a tale ultimo punto e argomentando ex art. 1256 c.c. ed anche ex art. 17 del d.lgs. in esame n. 111/95 pur se, tale norma in tema di esonero di responsabilità non fa specifico riferimento a detto art. 14, che per evitare il sorgere di responsabilità a loro carico (con conseguente obbligo risarcitorio), organizzatore e venditore dovranno provare: o il caso fortuito (o la forza maggiore), o l’esclusiva responsabilità del consumatore, oppure l’esclusiva responsabilità di soggetto-terzo, quali eventi successivi alla stipula del “pacchetto”.
Tali circostanze, non provate dalla F. , sono state comunque escluse, sulla base del discrezionale potere valutativo spettante al giudice del merito e con relativa adeguata e logica motivazione, dalla Corte di merito, e i connessi profili di fatto non possono essere ulteriormente esaminati nella presente sede di legittimità.
Infondato, in specie, è il terzo motivo, essendo evidente che la Corte di merito ha inteso liquidare il danno in questione sia dal punto di vista patrimoniale (a titolo di “spese che i G. hanno dovuto sostenere per i giornalieri trasferimenti alla diversa e idonea struttura balneare da essi individuata”), sia dal punto di vista non patrimoniale, in via equitativa, come conseguente danno ex art. 2059 c.c. alla persona che, nella vicenda in esame ed in linea anche con la recente giurisprudenza della S.U. (n. 26972/2008), trova un suo specifico titolo non nella generale previsione dell’art. 2 ma proprio nella cosiddetta “vacanza rovinata” (come legislativamente disciplinata).
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore di ciascuna parte resistente che liquida in euro 700,00 (di cui euro 200,00 per esborsi), oltre spese generali ed accessorie come per legge.
Depositata in Cancelleria il 04.03.2010